
Il caso Allende e l’incompetenza aggressiva della destra
di Jurij Bardini
“Quando ero ragazzo, e con i miei amici ci davamo appuntamento davanti al Palazzetto, non sapevamo che fosse intitolato a Salvador Allende. Lo chiamavamo semplicemente Palazzetto”.
“Grazie all’intitolazione a Giorgio Armani, il Palazzetto dello Sport di Cinisello Balsamo potrà beneficiare di una risonanza nazionale, europea, mondiale.”
“Nell’immediato dopoguerra, l’assessore comunista Seveso insistette per intitolare la piazza centrale della nostra città ad Antonio Gramsci, dimostrando di non ascoltare le indicazioni delle autorità del tempo, che suggerivano un nome meno divisivo per un paese appena uscito da una guerra civile.”
Di tutte le frasi pronunciate dalla maggioranza nell’aula consiliare, a qualsiasi ora del giorno e della notte, per promuovere la reintitolazione del Palazzetto dello Sport, ci hanno colpito fortemente queste tre. Sembrano rappresentare in maniera plastica l’approccio alla politica di chi ci governa: un misto di semplicismo (“se perfino io, quando ero ragazzo, non conoscevo il nome del Palazzetto… che importanza può avere quel nome?”), provincialismo (“grazie al nome di Armani, saremo famosi nel mondo!”) e decontestualizzazione (“se persino i vostri padri nobili a livello locale forzarono la mano su un’intitolazione, come potete accusarci?”).
Peccato che la democrazia debba fondarsi necessariamente su un principio di competenza: quando deleghiamo ad altri il potere di decidere per tutti, dobbiamo poter contare fortemente sulle capacità degli eletti. Eppure, nella piccola selezione di frasi che abbiamo raccolto qui sopra, l’ingrediente che sembra proprio mancare è la competenza.
Davvero possiamo pensare che chi governa una città si basi solo sulla sua esperienza personale (“quando ero ragazzo”)? E che immagini di ottenere fama internazionale semplicemente associando il nome di una celebrità a un luogo (“grazie ad Armani…”)? E che non sappia quanto il Partito Comunista fu un partito dell’ordine e della fermezza e non certo della sovversione (citiamo solo tre cose: l’amnistia Togliatti, il sequestro Moro, le politiche di austerità condivise con la DC).
È banale dirlo, ma persone poco preparate possono assumere scelte o poco efficaci o addirittura dannose per una comunità. È per questo che viene da porsi delle domande che dovrebbero stare alla base di ogni ragionamento politico sulla rappresentanza, locale e nazionale: ma questa destra, come forma il proprio ceto politico? Basta davvero così poco, in quello schieramento, per assurgere a posizioni decisionali? Quando vengono scelte le persone da inserire nelle liste elettorali, vanno bene anche quelle che non hanno mai aperto un libro di storia contemporanea?
E poi c’è un secondo livello di domande. Stanno in un cassetto nascosto che non vorremmo mai aprire, perché parlano la lingua del sospetto: non è che mostrano di non sapere, ma in realtà sanno? Non è che hanno scelto come strategia proprio il mostrarsi non competenti, per fare prima, per fare muro, per non prendersi la briga di spiegare? Non è che farla sempre facile, appiattire ogni complessità, e far finta di non capire sia la via più veloce per ottenere consenso ed esercitare un potere aggressivo?
Che l’incompetenza sia reale o simulata, a noi resta un solo imperativo: usare le nostre migliori energie per riconquistare lo spazio di governo in questa città.

