12 Novembre 2025

Il giornale di Cinisello Balsamo e Nord Milano

“I miei giorni sulla Flotilla, governo italiano complice di Israele”

di Laura Incantalupo

Paolo Romano, 29 anni – Consigliere Regionale del Partito Democratico – era imbarcato sulla barca Karma della Global Sumud Flotilla. La barca è stata illegalmente abbordata dalla marina militare israeliana in acque internazionali il primo ottobre 2025 ed i suoi occupanti sono stati portati – contro la loro volontà – al porto di Ashod, identificati e trasferiti nella prigione di massima sicurezza per terroristi di Ketziot nel deserto del Negev. Il prossimo 4 novembre alle ore 21 sarà possibile ascoltarlo all’Archivio del lavoro in via Breda 56 a Sesto San Giovanni.

Quando e perché hai pensato di partecipare alla Global Sumud Flotilla?
Penso che, come tanti se non tutti coloro che si sono imbarcati, il quando sia il primo momento in cui ne abbiamo sentito parlare perché, dopo due anni, in cui più ancora che la rabbia, che è un’emozione positiva che si può incanalare, l’emozione prevalente che abbiamo vissuto sia stata l’impotenza che è invece un’emozione molto negativa perché è il preludio della resa. Qualsiasi opzione che ci permettesse di fare qualcosa, che ci desse anche solo la sensazione di essere tangibile, di essere pratico, di essere fattuale, io ero pronto a coglierla e quindi nel momento in cui ne ho sentito parlare ho pensato “mi piacerebbe partire”. Poi una serie di eventi e di casi fortuiti hanno incrociato le possibilità e hanno fatto in modo che io potessi effettivamente partire perché poi c’era un processo di selezione, c’era bisogno che ci fossero dei politici a bordo per dare un appoggio istituzionale e quindi tante cose si sono sommate però se la domanda è quando hai deciso la risposta è nell’istante in cui ho saputo che si poteva partire e perché dopo due anni di impotenza di fronte a due anni di genocidio a Gaza, difronte alla complicità del nostro Governo in quel genocidio a livello economico, diplomatico e anche militare con la consegna di armi qualsiasi azione tangibile a favore del popolo palestinese che si potesse intraprendere eravamo ed ero disposto ad intraprenderla.

Ci sono poi altri due elementi: non restare a guardare per senso di umanità e ottemperare alla Convenzione per la Prevenzione e punizione del genocidio che prevede un dovere di protezione della popolazione civile in mancata ottemperanza del quale si è passibili dell’accusa di complicità (infatti ci sono delle denunce).
Oltre al tema del diritto che prima di partire conoscevo anche relativamente e che ora conosco molto meglio, c’è un tema proprio di pulsione umana, di non stare a guardare, di tentare di stabilire un principio di umanità, in qualche modo anche di provare a riscattare un pezzettino di coscienza collettiva dei popoli occidentali che dicano ai loro Governi “non in nostro nome; ora basta!” Anche un moto dei popoli per dire “non sono questi i valori su cui abbiamo fondato la nostra esistenza e non possiamo riconoscerci nelle azioni che i nostri governi stanno portando avanti per mantenere lo status quo e quindi c’è anche un pezzo di riscatto come a dire “non lo avete fatto voi e allora lo facciamo noi che abbiamo molto meno potere per farlo. Pensiamo ai Governi del mondo ma che quello che possiamo fare lo facciamo”.

Tutti voi siete stati comunque formati prima di salire a bordo e questo va a scardinare dalle fondamenta la narrazione che è stata fatta di voi come persone che non sapevano cosa stessero facendo o che stessero solo puntando ad una azione di attacco politico al Governo. Quindi ti chiedo cosa ti aspettassi prima di imbarcarti e cosa è poi effettivamente successo?
Penso che non dobbiamo demonizzare la dimensione di spontaneismo delle Flotilla perché ovviamente noi abbiamo fatto delle formazioni sull’atteggiamento non violento, a livello legale però è chiaro che rispetto ad un team di cooperanti internazionali che per anni fanno un determinato percorso di formazione prima di andare in determinati luoghi noi non avevamo certamente quelle competenze anche se tra di noi c’erano dei cooperanti, c’erano degli avvocati, c’erano dei medici, c’erano degli attivisti molto formati però è chiaro che un pezzo di spontaneismo c’era ma lo spontaneismo non è essere degli scappati di casa anzi lo spontaneismo è la dimostrazione che chi doveva agire non ha agito, che quando persone non fanno per lavoro quello scelgono di partire è la dimostrazione che chi doveva farlo per lavoro: Governi, l’ONU, non ha agito. Dall’altro lato c’è una dimensione provinciale dell’Italia che è gravissima. Cosa vuol dire “attacco al Governo”. Io chiedo ai lettori di questa intervista se sappiano chi sia il Presidente del Mali, il Presidente della Tunisia o il Presidente del Kuwait. Io immagino di no. Bene: c’erano persone del Kuwait, del Mali della Tunisia sulla Flottilla; persone di 44 nazionalità a cui ho chiesto se sapessero chi fosse Giorgia Meloni ed esattamente come noi non conosciamo il Presidente del Kuwait, le persone del Kuwait non conoscono la Presidente del Consiglio italiana. Quindi quale attacco al Governo? La maggior parte degli attivisti non sanno neanche chi sia la nostra Presidente del Consiglio, figuriamoci se potevano partire per attaccarla. C’è quindi un pezzo di demonizzazione della spontaneità che non va bene e un pezzo di Italia-centrismo che è proprio una dinamica provinciale che pensa che si parli sempre di sé.

In realtà loro dicevano che voi – gli italiani – erano lì per attaccare il Governo ma quanti eravate sul totale?
Su più di 500 volontari gli attivisti italiani saranno stato circa una cinquantina, un po’ meno del dieci per cento e dentro c’erano persone di estrazione sociale e politica totalmente diversa, anche persone che non per forza si rivedono nei valori della sinistra quindi anche qui c’è davvero il tentativo di creare un nemico in cui questo Governo è bravissimo ma non c’è nessun dato di realtà.

Poi se voi foste così potenti nella vostra azione loro non sarebbero dove sono.
Infatti. Altra cosa è dire che gli attivisti della Flotilla hanno criticato il Governo. Certo noi eravamo su una missione per forzare un blocco navale illegale di un paese che secondo la corte penale internazionale e l’ONU sta commettendo crimini di guerra e genocidio; il nostro Governo nega l’esistenza del genocidio, nega l’esistenza dei crimini di guerra, non riconosce le decisioni del Tribunale Internazionale, cui ha aderito e alle cui convenzioni ha aderito che condannano per questi crimini determinate persone, non riconosce che il blocco navale è illegale e ci attacca. A quel punto certo che noi facciamo notare al Governo italiano le sue bugie perché ha mentito platealmente agli italiani più volte andando contro le convenzioni internazionali che ha sottoscritto ma questo non vuol dire che la Flotilla in toto è andata contro il Governo Meloni vuol dire che quando il Governo Meloni dice cavolate della gente che sta rischiando la vita per il popolo palestinese glielo fa notare.

Oltretutto mi viene da chiederti: se fosse stato così facile portare gli aiuti perché non sono stati portati in due anni? Due sono le cose: o non era possibile o non si è voluto farlo.
Esattamente. Ti aggiungo che, non solo Israele ha fatto morire i bambini di fame, quindi se fosse così facile avrebbero dovuto consegnarli ma anche che la maggioranza degli aiuti raccolti da “Music for peace” (parte dei quali – circa 44 tonnellate – noi abbiamo imbarcato) ovvero circa 400 tonnellate, perché gli italiani hanno risposto in maniera straordinaria a quella raccolta di beni di prima necessità per la Palestina, sono rimasti nei magazzini dell’associazione ed è da fine agosto che “Music for Peace” dialoga col Governo per capire come farli arrivare in Palestina. Dopo più di due mesi non si è trovata nessuna soluzione e sono partiti da soli su dei container su delle imbarcazioni, un paio di giorni fa o sono in partenza. Ancora ora il Governo italiano non ha trovato il modo per farli sbarcare ufficialmente in Israele e passeranno dalla Giordania, da dove proveranno ad arrivare a Gaza e in Cisgiordania. Quindi ci sono proprio delle contraddizioni logiche importanti.

C’è poi un altro elemento: le modalità con cui il Governo italiano ha consegnato gli aiuti cioè i lanci dagli aerei, che sono sconsigliate dalle Nazioni Unite e da tutte le agenzie di cooperazione perché hanno quantità troppo limitate, rischiano di distruggere la maggior parte dei lanci con l’impatto a terra e di ferire le persone a terra perché il lancio non è preciso oppure, per essere fatti in zone in cui si è sicuri che non ci sia nessuno, avvengono in zone desertiche difficili da raggiungere che rendono molto complesso accedere agli aiuti. Quindi sono sconsigliati da tutti tanto che hanno un impatto ridicolo di meno dell’1% sulle necessità di beni di prima necessità della striscia di Gaza. Questo è l’unico mezzo con cui Giorgia Meloni è riuscita a mandare qualche pacco di roba a Gaza in maniera fallimentare: i lanci dagli aerei che hanno tutte queste criticità.

Lo scorso 20 ottobre Irene Manzi, Capogruppo PD in commissione Cultura alla Camera, ha pubblicato un intervento su “Domani” nel quale scrive – cito letterale – “Eccola la funzione della cultura. Sociale, emancipatrice, democratica. La cultura salva la vita. Non è una esagerazione. E non a caso da anni si discute da più parti di introdurre la deducibilità fiscale dei consumi culturali come per i medicinali. Perché è provata la funzione di supporto agli stati di ansia e depressivi. Perché è una cura per la salute mentale”. So che hai potuto sperimentare personalmente questo ruolo salvavita della cultura. Hai voglia di raccontarlo?
C’è stato un momento molto complesso durante la detenzione nel carcere di Ketziot, dopo che avevamo già subito violenze sia fisiche sia psicologiche al porto di Ashod e poi durante il trasferimento alle celle, dopo che eravamo già stati sottoposti alle privazioni dell’acqua potabile, ai farmaci salvavita di tutti i nostri beni eccetera. Il momento in cui ho avuto maggior paura anche che potessi essere detenuto molto a lungo o addirittura di morire dopo l’ennesima provocazione dei soldati israeliani che entravano nelle nostre celle a sorpresa con i fucili puntati in tenuta antisommossa nel cuore della notte per svegliarci e terrorizzarci. Dopo uno di questi momenti io ero particolarmente spaventato ed è successa una cosa molto particolare che un chirurgo gastrointestinale mussulmano del Kuwait di 44 anni il dottor Zamal, vedendomi così agitato e spaventato per quello che era accaduto mi ha detto “Paolo vieni qua: ti racconto una storia” ed ha iniziato a raccontarmi le fiabe della letteratura araba in Cavalcanti che era il maestro di Dante Alighieri nella Divina Commedia, nei canti della Divina Commedia, del Purgatorio, del Paradiso e tra l’immagine di Caronte e la discussione nel nostro inglese non sempre perfetto, per mezz’ora, per un’ora, noi siamo stati fuori da quella cella in qualche modo, senza aver più la nostra concentrazione puntata sulle sbarre, su quello che poteva accadere da un momento all’altro con l’ennesima entrata, provocazione, spavento da parte dei soldati israeliani ma siamo stati in un mondo a parte, nell’incrocio di due culture che per millenni si sono parlate intorno al mediterraneo e in quell’immaginario collettivo in qualche modo noi siamo stati liberi e mi ha molto colpito perché paradossalmente di tutto quello che poteva aiutarmi di quello che avevo studiato, non è stato calcolare un tasso d’interesse o ricordarmi una formula di fisica ma è stata la letteratura italiana a permettermi di avere un momento di fuga dalla paura e di vincere la violenza fisica e psicologica cui eravamo sottoposti.

La parte più difficile del tuo sequestro l’hai vissuta non durante il trasferimento ma quando sei stato consegnato ai soldati a terra. Si trattava di ragazzi giovani e il soldato che si occupava di te era praticamente tuo coetaneo. Hai raccontato come questi ragazzi non riuscissero a comprendere il fatto che qualcuno potesse provare dolore per i morti del 7 ottobre, soprattutto i bambini ma anche per i morti palestinesi. Era come se nella loro mente queste due cose non potessero stare insieme. Cosa credi si possa fare per rompere questo muro mentale?
Questa è una delle cose che mi ha lasciato più ferito; più ancora delle botte, più ancora del soldato che mi utilizzava come la sua scimmietta tenendomi con le braccia dietro la schiena e per la collottola, facendomi fare su e giù con il busto al suo comando per fare ridere gli altri soldati e dimostrargli che io ero un oggetto alla sua mercé è stata proprio questa conversazione in cui io dicevo “guardate che io non mi ritrovo nelle azioni terroristiche di Hamas eppure continuo a pensare che lo sterminio che voi avete portato a Gaza sia inaccettabile, sia un genocidio” e loro non riuscivano a comprendere e io ho avuto proprio la percezione sia per il modo in cui ci hanno trattato che per quello che dicevano, la propaganda abbia tolto l’umanità perché, un’altra cosa molto cruda è che mi hanno spiegato perché si possano uccidere i bambini. Mi hanno detto che “poiché un bambino, se nasce a Gaza diventerà un terrorista io non sto uccidendo il bambino oggi ma sto uccidendo il terrorista di domani”. Queste cose ti fanno capire che queste persone hanno subito un lavaggio del cervello. Te ne dico un’altra ancora più assurda. Loro chiedevano: “Do you believe in Gaza Bolliwood?” cioè tu davvero credi in Gaza Hollywood? Quando tu chiedevi cosa fosse Gaza Hollywood loro ti dicevano: tutti i video che voi vedete non sono veri, sono falsi, sono girati in una Hollywood costruita da Hamas dove vengono girati finti video dei bambini e dei civili palestinesi ammazzati da parte dei soldati di Israele che non sono mai esistiti. Pensare una cosa del genere vuol dire vivere in una propaganda, in una post verità che sembra confermare le più oscure distopie che i romanzieri della fine del ‘900 facevano sull’avvento delle nuove tecnologie, capaci di riscrivere la verità del mondo quindi per provare con una provocazione a creare lo straniamento in queste persone con gli altri partecipanti alla mia imbarcazione stiamo valutando di scrivere una lettera che dica che noi perdoniamo i nostri carcerieri ma per quello che hanno fatto a noi; non per quello che hanno fatto al popolo palestinese e provare ad usare questo incipit così assurdo per delle persone che avendo subito privazioni e violenza fisica, violenza psicologica ti dicono “ti perdono” per però provare a fargli fare un ragionamento, provare a dire “guardate non è vero quello che state vedendo”. È un testo cui dobbiamo ancora lavorare; non sarà facile perché poi si mischia per noi un piano anche molto emotivo ma è una provocazione che mettiamo in campo anche nell’ottica di provare a bucare quella propaganda e quella post verità in cui le persone sono state immerse e che evidentemente le ha condizionate poi diciamo che la responsabilità personale rimane. Lo abbiamo già imparato a Norimberga che il “ho eseguito gli ordini; mi avevamo detto che era così” non vale come giustificazione. Però sarebbe bello far uscire un pezzo dal popolo israeliano da questa propaganda, da questa post verità e vedere se, facendogli aprire gli occhi non si riesca a riportarli a comprendere che serve una pace giusta, che serve una presa di coscienza dell’azione genocidaria che quello Stato sta portando avanti.

Mi viene in mente che in Sud Africa le cose sono cambiate quando la parte bianca della popolazione ha cominciato a rendersi conto che non si poteva sopportare questo modo di andare avanti. Quindi se si riuscisse a scardinare questo, se le persone cominciassero a capire innanzitutto di essere state ingannate e credo che questo le farebbe arrabbiare moltissimo, sapere di essere state ingannate dal proprio Governo e magari si riuscirebbe a scardinare questa narrazione e questo salverebbe anche loro.
È vero per quel pezzo che è davvero stato ingannato perché poi dobbiamo dirci che c’è un pezzo di società israeliana che sa bene o male quello che succede a Gaza e che non tutti pensano che esista Gaza-Hollywood perché c’è un pezzo che comunque sostiene questo disegno, che è l’orrore del mondo ma c’era anche in Germania perché ricordiamo che Hitler è stato prima di tutto eletto e ha mantenuto  un supporto popolare in una buona parte delle sue follie così come Mussolini in Italia per un lungo periodo quindi purtroppo c’è un sostegno di persone che in parte credono davvero che sia loro diritto, a volte anche divino perché diciamo che c’è un ruolo degli estremismi religiosi pericolosissimo. Noi parliamo tanto dei regimi religiosi nell’islam ma sono altrettanto pericolosi quelli di tutte le religioni compreso quello della religione ebraica che consente ai giovani coloni israeliani di credere di essere nel giusto quando trucidano dei bambini che raccolgono le olive nell’idea di stare recuperando la loro terra e schiacciando gli infedeli. Quindi c’è un pezzo che si lascia convincere dall’auto-assoluzione, da queste iniezioni di post verità e dobbiamo convincerlo. Prendiamo l’esempio delle nazione sconfitta della Seconda Guerra Mondiale: la Germania. Se la Germania non avesse in gran parte digerito la colpa del genocidio più grande della storia dell’umanità, dell’orrore della Shoah noi saremmo mai riusciti ad andare avanti come continente? Senza ammettere quelle atrocità? Senza che ci fosse un processo? Di responsabilità collettiva che ha portato la Germania per anni ad essere fra le nazioni più schierate contro l’antisemitismo o la memoria di quella che è stata la shoah come lezione per tutta l’umanità ed è motivo anche per cui oggi è incredibile che oggi il Governo tedesco non sappia riconoscere il genocidio perché sembra rimasto intrappolato non nella difesa delle atrocità, cioè degli oppressi dalle atrocità ma nella difesa di quegli oppressi e quindi anche se quegli oppressi diventano oppressori loro continuano a difenderli anche quando diventano oppressori e questo preoccupa molto ma quel processo di elaborazione collettiva è stato fondamentale perché l’Europa avesse un day after a quello che è accaduto e noi abbiamo bisogno di un day after e per avere un day after a quello che è avvenuto a Gaza ci vuole non solo il processo per genocidio per chi ha fatto tutto ciò che ha fatto ma anche la presa di consapevolezza da parte di almeno una parte del popolo israeliano.

Dopo il piano di tregua di Trump su Gaza c’è il rischio che l’attenzione mediatica si affievolisca. Pensi si possa fare qualcosa e se si cosa per impedirlo?
Io penso che sia una strategia voluta quella di utilizzare il finto piano di pace di Trump per far abbassare la tensione mediatica e per fare tornare nelle loro case quelle persone che nelle ultime settimane erano scese in piazza e che non l’avevano fatto prima perché nell’ultimo mese era finalmente sceso in piazza tutto un pezzo di società che in prevalenza era stato in silenzio e prima era rimasta indifferente. Magari prima aveva condannato nella propria testa quello che accadeva ma non aveva mai preso la decisione di schierarsi, di farsi sentire e quelle persone stanno già tornando a chiudersi nelle loro case, nella narrazione comoda del “beh ora lasciamo lavorare la diplomazia perché c’è il piano di pace di Trump. Noi dobbiamo dire con chiarezza che quel piano di pace non esiste, c’è una tregua fragilissima, già violata, sicuramente è meglio di quello che c’era quindici giorni fa, quando c’erano duecento bombardamenti al giorno ma che comunque è una tregua in cui continuano a morire palestinesi innocenti, tutti i giorni o quasi e che non c’è un piano per una pace giusta perché una pace in cui non è previsto un processo per genocidio per chi ha sterminato un’intera popolazione, distrutto il 90% di edifici, delle case di quella popolazione, affamato, assetato, privato dei medicinali, ucciso la stampa, ucciso i dottori, bombardato le scuole, bombardato gli ospedali e non c’è giustizia e poi tu dici “però mi raccomando voi palestinesi rimanete buoni”. Tu immagina un bambino di dieci anni cui hanno ucciso tutta la famiglia, ucciso il fratellino, ucciso gli amici, distrutto la scuola, distrutto la casa e tu gli dici “dovete accettare il piano di Trump cioè non avrai giustizia, non avrai uno Stato palestinese” perché oggi il piano di pace prevede solo la vaga possibilità che forse ad un certo punto si possa parlare di ma non prevede direttamente lo Stato palestinese. Quindi non avrai giustizia, non avrai uno Stato palestinese, la ricostruzione sarà messa in mano a dei privati che probabilmente possiederanno la tua casa, la tua scuola quindi tu rimarrai schiavo nella tua stessa terra e devi pure ringraziare. Questa non solo è una pace ingiusta e non è una pace ma è anche il modo per riattivare la spirale della violenza perché se a quel bambino qualcuno verrà a dire “ti do la possibilità di vendicare i tuoi genitori” di fronte ad una finta pace del genere cosa pensiamo che farà quel bambino? Pensiamo che dirà di no? Pensiamo che non rischi di diventare un attentatore suicida su un pullman a Tel Aviv che magari si fa esplodere e fa saltare in aria il passeggino di un bambino di un anno ebreo che non ha nessuna colpa esattamente come non ce l’ha un bambino di un anno palestinese e allora noi abbiamo la responsabilità di fare una pace giusta, una pace che sia dica a quel bambino di dieci anni che avrà uno Stato, che avrà giustizia che non vuol dire avere vendetta, che vuol dire che per quello che ha subito devono andare in carcere, che vuol dire che la ricostruzione dev’essere pagata dalle nazioni del mondo che devono quindi restituire delle case, delle scuole ai palestinesi e che siano loro, che il popolo palestinese possa ripartire e allora noi possiamo pensare che quel bambino rifiuti la vendetta e cerchi di costruire la pace quindi quando parliamo di una pace giusta, ho fatto questo esempio apposta, parliamo di una pace che poi va anche a favore degl’innocenti di Israele perché solo interrompendo la spirale di violenza di tutti gli innocenti e i civili sia con i palestinesi che con gli israeliani potranno essere tutelati dal fatto che addirittura la violenza, ripartendo, non uccida loro perché poi la violenza uccide i popoli e gli innocenti non uccide mai i Netanyahu di turno, chissà perché e quindi quando ci dicono “la pace giusta è la pace dei pro-pal”. No è la pace dei pro-pace cioè la pace di chi vuole che la pace rimanga. Poi è chiaro che una pace giusta se c’è un genocidio parte da una pace che sia giusta verso la parte che ha subito il genocidio quindi che sia giusta per i palestinesi.

Redazione "La Città"

Articolo precedente

Il caso Allende e il peggior revisionismo di una tribù che segna il territorio

Articolo successivo

Violenza sulle donne, l’autodifesa nei caseggiati. Al via i corsi di UniAbita

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *