
Cormano, la moschea chiusa dal sindaco e riaperta dal magistrato
È durata tre giorni la chiusura del luogo di preghiera islamico di Cormano, posto sotto sequestro dal Comune per presunti motivi di abusivismo e sicurezza. La decisione, firmata dal sindaco è stata sospesa dal magistrato, che ha disposto il dissequestro e consentito la riapertura dell’immobile.
“In quell’immobile – ha spiegato la giunta di destra in una nota rilanciata anche da Rete4 – non esiste la destinazione d’uso per un luogo di culto, e non può ospitare 150 persone in 170 metri quadrati. Abbiamo più volte chiesto la documentazione necessaria all’associazione islamica, senza riceverla. Non comprendiamo come il PM abbia potuto disporre la riapertura: noi chiediamo solo il rispetto della legalità e la garanzia della sicurezza”.
Una posizione che pone l’accento sulla correttezza formale degli atti, ma che lascia aperte molte domande sul modo in cui le istituzioni affrontano il tema della libertà religiosa e dell’inclusione. La vicenda di Cormano, in fondo, non è un caso isolato: in molti comuni dell’hinterland milanese, le comunità islamiche faticano a trovare spazi regolari dove riunirsi per pregare. E spesso si trovano costrette a utilizzare capannoni o locali provvisori, proprio perché mancano piani urbanistici che prevedano luoghi di culto per tutte le fedi.
Dietro la parola “abusivismo” si nasconde dunque un nodo più profondo: una città metropolitana sempre più plurale, ma non ancora pronta a riconoscerlo nei propri strumenti amministrativi.
Intanto si attende di conoscere la motivazione della decisione del magistrato, che ha consentito la riapertura del centro. Sono in molti a interpretarla come il rifiuto di utilizzare il tema della legalità come alibi per comprimere diritti fondamentali.


