
Marcella Giampiccoli e Paolo Bogo in un momento conviviale alla Comune
Cinisello accolse gli esuli cileni. “In fuga dalle torture, ne arrivarono 200”
Erano trascorsi soltanto due mesi dal golpe militare in Cile dell’11 settembre 1973, quando nella nostra città l’Amministrazione comunale, con il sindaco Enea Cerquetti, intitolò il Palazzetto dello Sport a Salvador Allende, mentre la Comune valdese del Centro culturale Jacopo Lombardini iniziò a dar vita ad azioni a favore degli esuli cileni. Quest’ultima fu protagonista di una forte solidarietà nei confronti delle persone in fuga da una delle più sanguinose dittature del mondo. Il colpo di stato, orchestrato dalla CIA, depose con l’uso della forza il presidente democraticamente eletto Salvador Allende, che morì in circostanze mai chiarite durante l’assalto al Palacio de la Moneda.
Tutto ebbe inizio quando il pastore valdese Guido Rivoir, che viveva e lavorava in Svizzera, grazie anche alla sua passata permanenza in America Latina, si sentì particolarmente coinvolto dalla tragedia cilena e volle incontrare i membri della Comune di Cinisello per concordare un’attività di supporto agli esuli. Come racconta Toti Rochat nel suo libro Via Monte Grappa 62/b, in Svizzera si erano formati gruppi e associazioni che esercitavano ogni forma di pressione sul Governo federale elvetico affinché aprisse le frontiere ai rifugiati politici cileni. Si erano stabilite relazioni con il Comité para la Paz a Santiago del Cile, dove alcuni volontari rischiavano la vita per aiutare a fuggire dal Paese i militanti di sinistra. Attraverso l’Argentina, con passaporti falsi, raggiungevano la Svizzera, dove chiedevano asilo politico. Ben presto il Governo svizzero impose ai cileni un visto d’entrata.
Allora il pastore Rivoir escogitò di far viaggiare i rifugiati da Buenos Aires all’Italia, dove entravano con un visto turistico di pochi mesi, perché non potevano chiedere asilo. Asilo che era stato concesso solo a quelli che si erano rifugiati nelle prime ore del golpe all’interno dell’Ambasciata italiana in Cile. Alla Comune di Cinisello fu chiesto di accogliere gli esuli, trovare loro una sistemazione provvisoria, in attesa di proseguire per la Svizzera. Nessuno poteva prevedere che sarebbero transitati da qui più di duecento cileni. Il primo compito era ospitarli, ma anche rivestirli, alcuni non avevano neppure un bagaglio. Il secondo compito era quello di ascoltarli. Arrivavano da esperienze traumatiche: elettrodi attaccati al corpo, finti annegamenti, roulette russe, stupri; i racconti si aprivano all’orrore. Avevano un bisogno incredibile di raccontare. Staccarsi da loro quando erano in partenza per la Svizzera risultò doloroso.
Marcella Giampiccoli e Paolo Bogo furono tra i protagonisti di quei giorni del 1973/1974. Sono andata a trovarli per farmi raccontare quegli avvenimenti e, inevitabilmente, dalle loro parole è uscito tutto lo sconcerto e la tristezza per ciò che sta accadendo in città.
Paolo: “Protagonista della solidarietà nei confronti degli esuli fu tutta la Comune, tutti eravamo d’accordo e ci mobilitammo per dare una mano”. Marcella: “È stato bello vedere come, appena appreso quello era accaduto in Cile, tutti aderirono favorevolmente all’iniziativa”. Paolo: “All’inizio l’attività fu tenuta segreta, c’era l’idea che fosse meglio essere cauti, avevamo paura che la polizia venisse a controllare. I cileni, per timore, i primi tempi stavano tutto il giorno in casa”. Marcella: “Pensa che parlando tra di noi li chiamavamo “pacchi”, perché ritenevamo che fosse pericoloso far conoscere questa attività all’interno del condominio o in città. Il tutto è rimasto segreto a lungo”.
Paolo: “Col tempo la tensione si allentò e anche il condominio iniziò a capire di cosa si trattava”. Marcella: “L’attività di sostegno e ospitalità proseguì per due anni. Quando alla Comune non avevamo più posto, si chiedeva alla Chiesa valdese di Milano e di Bergamo che qualcuno li ospitasse. Andavamo a prenderli a Linate, soggiornavano da noi una settimana, dieci giorni o anche mesi; alcuni, come la famiglia che ospitammo noi, restavano un anno. La Chiesa Protestante svizzera, dopo aver trovato famiglie disponibili, coordinava il loro trasferimento in Svizzera, Germania e Francia.
Le donne della Comune sono state le protagoniste (in modo particolare Toti Rochat) delle attività organizzative, come quella di andare a prenderli all’aeroporto”. Paolo: “Noi uomini aspettavamo e al loro arrivo venivano aiutati a portare su le valigie, accolti e sistemati nelle stanze”. Marcella: “Arrivavano spesso prima gli uomini, poi, col tempo, cercavano di ricongiungersi con le compagne che giungevano in seguito. C’erano anche alcuni ragazzi giovani, ma non ricordo che ci fossero bambini”.
Paolo: “Talvolta si mangiava insieme a loro, ma il più delle volte preferivano rimanere da soli”. Marcella: “Quando arrivava il momento di portarli in Svizzera, spesso venivano accompagnati in auto o a piedi attraverso dei passaggi isolati al fine di evitare la frontiera”. Paolo: “È merito in particolare di Toti Rochat, che durante la permanenza dei cileni, a tarda sera, ascoltava i loro racconti, se le testimonianze furono in seguito raccolte in un libretto. Io lavoravo e alla sera ero stanco, ma Marcella restava spesso ad ascoltarli”.
Marcella: “Ho ascoltato racconti atroci, che ancora ricordo nitidamente; scappavano da torture terribili, anche psicologiche. Sono rimasta colpita da uno di loro che stava molto male, non mangiava. Allora lo portammo all’ospedale. Scoprimmo che era stato picchiato in modo così selvaggio al punto di procurargli lesioni interne che lo portarono alla morte in una decina di giorni. Ricordo con orrore anche ciò che ci narravano le donne che erano state torturate con scosse elettriche nella vagina e sul seno.
Fu un’esperienza incredibile, che cementò relazioni molto intense. Paolo ed io ospitammo nel nostro appartamento una coppia che era in attesa di una figlia, nata durante la permanenza da noi”. Bambina a cui verrà dato il nome di Marcela Paz, in omaggio a chi aveva incontrato il prossimo e aveva aperto loro la porta. Rimangono ancora vivi i ricordi di quei giorni, tanto che Patricia Nuñez, che fu appunto ospitata col compagno da Paolo e Marcella, in occasione del quarantesimo anniversario del colpo di stato scrisse: “I ricordi sono freschi nella mia memoria, quei momenti al mattino dell’11 settembre, dove la mia vita e quella degli altri cambiò per sempre. Ringrazio tutti voi che un giorno di inverno, il 1° gennaio 1975, ci avevate offerto una casa e una grande famiglia; amici alla Comune, tutto nuovo per noi, che accoglienza! Non ci conoscevamo, però avevate un cuore gigante per tutti questi cileni e ognuno aveva la sua storia. Siete parte della mia vita e sono molto felice di aver incontrato voi in quei momenti di infelicità completa”.
Una pagina di storia cittadina di grande umanità e senso civico, una storia che questa Amministrazione vuole offuscare, cancellando l’intitolazione del Palazzetto dello Sport a Salvador Allende.


Un commento
Grazie Patrizia del racconto,dei racconti di un pezzo di storia della nostra citta’.
Mi piacerebbe leggerne o meglio ascoltarne
altri su quella esperienza cittadina. Nulla si deve dimenticare e così perdere della nostra storia, e non c’entra jn se’ la “sinistra”, c’entra l’Umanita’,a noi interessa quella, e poco altro.