
La città affidata alle forze dell’ordine. Meritiamo davvero una sorveglianza h24?
di Jurij Bardini
Fateci caso: non è più possibile attraversare la nostra città senza imbattersi in membri delle forze dell’ordine. Che sia una rilassata pattuglia di vigili urbani che osserva una tranquilla piazza Gramsci, o che si tratti di una pantera blu che brucia il rosso senza attivare la sirena in via Stalingrado, la presenza di uomini e donne in divisa è diventata un elemento che caratterizza il nostro paesaggio urbano.
È uno stato di assedio a bassa intensità che può generare sensazioni contrastanti in chi lo osserva. E in questo campo può risultare tutto molto personale, percettivo, emozionale: ad alcuni, la vista delle divise infonde rassicurazione perché suscita senso di protezione, giustizia, difesa. Ad altri, può generare una sensazione opposta: se il presidio è così alto e pervasivo, dobbiamo forse pensare che ci sia un reale pericolo per la nostra incolumità?
Gli approcci più contemporanei al mondo dell’informazione suggeriscono che, nel panorama attuale, più che informarci attivamente per conoscere la realtà ed essere più lucidi nelle nostre scelte, ci sottoponiamo a un costantemente flusso di contenuti che raccontano di un mondo in continua evoluzione negativa, facendo leva sulle nostre paure e ansie per ottenere la nostra attenzione e i nostri click.
Viene da chiedersi se per le strade della nostra città non stia avvenendo un processo con tratti simili. Che la vista delle divise rassicuri o spaventi, la loro presenza non parla alla sfera lucida e razionale della nostra persona ma punta dritta alla zona instabile delle nostre emozioni: il decisore pubblico offre una risposta pre-progettuale e pre-politica al governo del territorio, delegandolo a pattuglie di agenti, come se fosse solo un fatto di controllo e non di immaginazione e progettazione, e questa scelta si impone al nostro apparato emozionale suscitando senso di sicurezza e protezione oppure, al contrario, paura e inquietudine.
Ma cosa succede se proviamo ad attivare uno sguardo critico nell’osservare questo paesaggio urbano?
Questo presidio del territorio denuncia una visione politica ben chiara: che la minaccia sia reale oppure presunta, il potere locale (dal comune alla prefettura) mostra mezzi, pistole e manganelli affinché si sappia che ha il controllo sulla città e la prontezza per reagire. Ovviamente, a questa visione sfugge completamente un approccio articolato e umanistico alla vita sociale: ammesso che ci sia una polveriera pronta a detonare, che il crimine possa prendere in ostaggio la nostra città, forse più che allenare i muscoli della violenza servirebbe allenare lo sguardo della comprensione: quali sono le cause del disagio che può sfociare in reato? Perché si crede che la popolazione si meriti di essere sorvegliata costantemente?
Si tratta di un approccio prima di tutto paternalistico: alla vostra incolumità ci pensiamo noi. Ma in modo securitario: non ci preoccupiamo delle cause sociali ed economiche che determinano eventuali condotte illegali, ma dispieghiamo la nostra capacità di dissuasione e potenziale reazione. E con la cosiddetta deterrenza, si impone una visione rigida e soffocante di società. Una società che deve essere sempre pacificata, sedata, non conflittuale, non deviante.
Sia come sia, è un clima non sereno e non piacevole da vivere. E forse sarebbe più lungimirante mostrare qualche sirena in meno e progettare qualche iniziativa di accoglienza e giustizia in più. Dai leghisti e dai fratelli d’Italia, questo non lo pretendiamo proprio. Ma da un nuovo e sperabile governo democratico del territorio, auspichiamo che sia uno sguardo che si possa attivare. Cominciamo a pensarci insieme.