30 Aprile 2025

Il giornale di Cinisello Balsamo e Nord Milano

Piazza Ramelli non è di tutti. Una targa che divide, occasione persa

Ieri c’era tutto lo stato maggiore di Fratelli d’Italia. Dal cinisellese Giuseppe Berlino, vicesindaco, alla seconda carica dello Stato, Ignazio La Russa, che da tre giorni gira i comuni del milanese dove le giunte di destra hanno imposto le intitolazioni di piazzette e slarghi a Sergio Ramelli, il giovane estremista ucciso 50 anni fa. Il ragazzo commemorato ancora una volta ieri notte da duemila neo-fascisti che hanno steso le braccia nel saluto romano.

Quella di ieri a Cinisello Balsamo, blindata dalla testa ai piedi dalle forze dell’ordine e con una scarsa partecipazione di pubblico, è sembrata molto poco un’intitolazione civica e molto più una passerella di partito. La Russa (tutte e due i fratelli), Sisler, Osnago, Mantovani, Fidanza, Alparone, Frassinetti, Maullu, Mascaretti e chi più ne ha più ne metta.

Vecchi ex camerati, nuovi transfughi da Forza Italia, gente di potere, ruoli che contano dal parlamento, alla regione, in comune. Tutti attorno al palo con la scritta Piazza Sergio Ramelli, proprio nella piazzetta in cui campeggia una statua dedicata ai migranti. Ironia della sorte. Chissà se qualcuno l’ha spiegato ai La Russa.

Forse ignari o forse no, erano tutti vicini al sindaco leghista che ha firmato la delibera dell’intitolazione senza fiatare e senza coinvolgere il consiglio comunale, dopo aver incassato il suo bottino con l’intitolazione qualche tempo fa di un giardino cittadino a Gianfranco Miglio, l’ideologo padano dalle colorite espressioni xenofobe e razziste.

Da oggi, nella piazzetta dei migranti, c’è la scritta Ramelli. Il sindaco, in un post pubblicato in serata, invita a non profanarla (e ci mancherebbe) né strumentalizzarla, perché apparterrebbe a tutti. E invece di tutti non è. E’ bastato guardare i giovani del Collettivo 20092 fare rumore, contrariati ma pacifici, a pochi metri di distanza dalla celebrazione, dalla biblioteca che frequentano tutti i giorni, che è rimasta chiusa inspiegabilmente per timore di disordini, mai avvenuti.

Oppure andare in via Mariani, alla stessa ora, e osservare le facce incredule dei tanti accorsi sotto le bandiere dei partiti, dell’ANPI e della CGIL per dire che la storia non si riscrive, che quella targa divide più che mai. Che il colpo assestato dalla giunta all’associazione partigiani a cui è stata negata la parola il 25 Aprile, per la prima volta dopo 80 anni, con l’incredibile accusa di non aver partecipato alla riunione preparativa, non si dimentica ma fa male. Che la città è divisa più che mai e lo si vede dall’oltraggio, per ben due volte, al manifesto coi volti dei martiri partigiani e deportati per cui il sindaco non è ancora riuscito a spendere una parola di solidarietà.

Tornando a Ramelli, la targa sarebbe stata di tutti se si fosse optato per la soluzione migliore:  “Piazza Vittime dell’odio politico”. Così, come chiedevano le opposizioni, per cercare una pacificazione ma non a senso unico. Perché di giovani vittime di sinistra, morte per mano dei neofascisti in quegli anni se ne contano molte di più.

Una pacificazione almeno sulla storia degli anni ’70, le sue follie, le sue violenze di opposti estremismi. Ma non su quella antecedente, quella degli anni ’40. Quella della Liberazione del fascismo, forse l’unica pagina davvero onorevole degli italiani, la Resistenza, il riscatto per la Patria, la voglia di pace, di unità, di democrazia. Su quella pagina la pacificazione non c’è. Non ci sarà fintanto che i fratelli La Russa e quelli come loro non la finiranno di cercare di riscrivere la storia.

Fabrizio Vangelista

Giornalista, scrittore. Direttore de La Città

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