27 Luglio 2024

Il giornale di Cinisello Balsamo e Nord Milano

Marzo ’44, ottant’anni fa il grande sciopero e gli operai deportati

Quest’anno ricorre l’80° anniversario degli scioperi del 1944. Dall’1 all’8 marzo i Comitati segreti di agitazione del triangolo industriale (Torino-Milano-Genova) organizzarono lo sciopero generale. Il sostegno di tutti i partiti del Comitato di Liberazione Nazionale fu unanime e, in particolare, il Partito Comunista clandestino vi profuse uno straordinario impegno organizzativo. Le fabbriche furono bloccate, tecnici e impiegati scesero in sciopero al fianco degli operai. Le rivendicazioni erano di natura politica.

Alle ore 10 dell’1 marzo suonarono le sirene, le fabbriche si fermarono, ma i lavoratori restarono all’interno, uscendo solo verso sera. Il mattino seguente si recarono al lavoro, però alla Falck e in altre fabbriche trovarono le portinerie bloccate dai fascisti con le mitragliatrici. I lavoratori, impauriti, tornarono indietro. Questa è la ragione per la quale lo sciopero durò otto giorni. Il mercoledì successivo le fabbriche furono riaperte e i lavoratori ripresero il lavoro. In regime di guerra e sotto la dittatura lo sciopero era considerato un grave atto di sabotaggio. La repressione nazifascista fu durissima e attuata sulla base di precisi elenchi fatti compilare dalle direzioni aziendali, dove figuravano, accanto a noti “sovversivi” (già confinati o passati per il Tribunale Speciale), lavoratori antifascisti e operai specializzati. Vennero catturati in fabbrica a centinaia, altri furono prelevati di notte nelle loro abitazioni dai militi fascisti, accompagnati da una lettiga per mascherare le loro vere intenzioni.

Oltre allo sciopero di marzo, particolarmente significativo fu quello del 21 settembre che coinvolse Breda, Pirelli ed Ercole Marelli. Due mesi dopo, durante lo sciopero del 23 novembre alla Pirelli Bicocca, l’intervento della Direzione, minacciata di deportazione in blocco, valse a far rilasciare 27 dei 183 arrestati. Senza alcun preciso capo d’accusa, gli arrestati vennero mandati prima nelle questure e subito dopo nelle carceri. A quel punto i fascisti consegnarono i lavoratori arrestati ai nazisti, che organizzarono i trasporti verso i lager.

Abbiamo un debito di riconoscenza nei confronti di Giuseppe Valota, compianto presidente dell’Associazione Nazionale ex Deportati di Sesto San Giovanni. È grazie alla sua ricerca se oggi è possibile ricostruire questa tragica storia. Pubblicata con il titolo Streikertransport (trasporto di scioperanti), assume una particolare importanza perché mette in luce sia le grandi dimensioni della deportazione politica dei lavoratori, sia le sue connessioni con la Resistenza. Questo lavoro ha dato un nome e un volto a centinaia di lavoratori mandati nei lager, restituendoci una preziosa raccolta di testimonianze di ex deportati e dei loro familiari. Nella nostra città furono 53 i deportati, 38 di loro a seguito degli scioperi.

In molti conoscono la storia del Binario 21 di Milano, da dove partivano molti treni diretti ad Auschwitz e ad altri campi di concentramento; ma anche un’altra stazione italiana fu tristemente nota per la stessa ragione. Se vi capita di passare da Bergamo, non dimenticate di recarvi al Binario 1 della stazione. Lì, dal 2005, anno dell’inaugurazione, è affissa una lapide che reca questa scritta: “In questa stazione il 17 marzo, il 5 e 13 aprile 1944 / i nazifascisti caricarono sui carri piombati almeno / 865 lavoratori che nell’Italia settentrionale avevano / scioperato e bloccato la produzione bellica / Arrestati in casa in fabbrica per le strade furono / concentrati nella Caserma Umberto I / (ora Montelungo) e poi deportati a Mauthausen / dove pagarono duramente per la loro scelta / Cittadino che leggi queste parole ricorda che / la libertà non è mai regalata ma conquistata /Aprile 2005”. Dalla stazione di Bergamo partirono tre grossi convogli diretti al lager di Mauthausen. Il primo treno partì il 17 marzo ‘44, attraverso il valico di Tarvisio, e arrivò il 20 marzo; il secondo partì il 5 aprile, sempre via Tarvisio, e arrivò l’8 aprile, il terzo partì da Novi Ligure il 13 aprile, sostò a Milano e a Bergamo e poi, via Brennero, giunse a destinazione il 16 aprile. Risulta che i lavoratori che transitarono dalla stazione di Bergamo furono molti di più degli 865 indicati sulla lapide, dei quali 36 erano donne, ma probabilmente anche loro in numero maggiore.

Ben 22 deportati della nostra città partirono dalla stazione di Bergamo verso i lager. Le immagini delle drammatiche scene di pianto e di panico dei parenti, accorsi alla partenza dei convogli, e dei deportati già stipati sui vagoni, le conosciamo grazie alle testimonianze dei sopravvissuti e dei familiari. I deportati, strappati al proprio lavoro e alla famiglia, partivano per una destinazione a loro ignota, con il terrore negli occhi. Alcuni riuscirono a scrivere ai familiari dalla Caserma di Bergamo, altri lanciarono dei biglietti lungo il tragitto. Attilio Barichella scrisse alla moglie dalla Caserma: “Carissima mia Dina, vengo da te con queste poche righe per prima ringraziarti la tua passione che porti per me; ma Dina io ti raccomando solo la tua salute e dei cari bambini, quello che ti raccomando più di tutto di non trascurarti per me […]. Io non so ancora il mio destino, non si sa ancora quando si parte, non si sa dove si va, così ti saluto e ti bacio unita ai tuoi cari bambini. […] Ricordati di istruirli bene come dovevano crescere. […] Pensa a te e ai tuoi cari figli e non pensare a me, vivi contenta che io vivo contento assieme a te e a tutti. Baci cari in famiglia. Claretta, tuo papà ti saluta perché tu sei la più grande, perché tu abbia da salutare i tuoi fratellini, di custodirli e insegnare tutto bene; ti raccomando anche a scuola, di fare bene e più di tutto ti raccomando di essere ubbidiente a tua mamma e di essere buona e brava come sei ora. Baci Giancarlo, baci Claudio, baci Clara e mamma. Tuo papà”.

Barichella giunse a Mauthausen l’8 aprile, vigilia di Pasqua; fu trasferito in data non nota al Castello di Hartheim, sottocampo di Mauthausen (in quel periodo era un centro di eliminazione di prigionieri ritenuti non più idonei al lavoro), dove fu inghiottito nel nulla. Dai documenti risulta che morì il 2 ottobre ’44. Stessa sorte capitò a Riviero Oliviero Limonta che morì nello stesso luogo alcuni mesi prima, il 24 agosto. Poco dopo la partenza da Bergamo, il 17 marzo, aveva lanciato un bigliettino dal finestrino, che fu raccolto e spedito alla famiglia: “Vi bacio tutti, caro papà, mamma e sorella. Sono partito contento e Voi non dovete pensare, speriamo che il buon Dio mi aiuti, pregate e fate pregare. Questa la scrivo in viaggio in qualche maniera, speriamo che quando giungo vi posso scrivere; fatti coraggio cara mamma e papà. […] Salutate tutti i vicini, quelli che mi ricordano, specialmente don Battista. Dille che preghi; su rallegratevi, io termino col salutarvi tutti e baciarvi col cuore”.

Tante furono le storie interrotte, le vite spezzate, come anche quella di Giuseppe Berna, che da giovane era stato un bravo tenore (aveva cantato tra gli altri anche con Luciano Tajoli) e aveva fatto parte del coro del Teatro alla Scala di Milano con Aureliano Pertile. I compagni di prigionia lo chiamavano il cantore triste. Morì di stenti a Mauthausen il 10 maggio ’45, pochi giorni dopo la liberazione del campo. Per le cinque donne deportate, sopravvissute ai lager, il reinserimento nella vita di tutti i giorni fu difficile, l’esperienza di Auschwitz le aveva segnate per sempre. Rosa Crovi, tornata a Balsamo, trovò i paramenti funebri col suo nome. Non riuscì più a dormire al buio, tutte le notti erano incubi. Ines Gerosa raccontava: “Credevano che fossimo andate volontarie per andare con i tedeschi, noi donne siamo state giudicate così quando siamo tornate, è stato uno schiaffo morale più di quello che abbiamo subito là”. Dopo tanti patimenti dovettero anche affrontare le malelingue, la cattiveria e l’ignoranza della gente.

“ECCO LA GUERRA”, è la scritta che campeggia in cima al monumento ai Piccoli Martiri di Gorla a Milano. Rappresenta una madre che sorregge il corpo del figlio morto. Ecco la guerra, quella che spezza vite, arresta, deporta, uccide, quella che i nostri anziani ancora ricordano. Ecco la guerra, quella che oggi, in varie parti del mondo, miete vittime, in gran parte civili e soprattutto bambini. CESSATE IL FUOCO!

Patrizia Rulli

Per approfondire: https://www.comune.cinisello-balsamo.mi.it/pietre/spip.php?rubrique22

Patrizia Rulli

Articolo precedente

Stangata tasse, la giunta tenta di reagire: “Spesa sociale inalterata”

Articolo successivo

Assemblee, gazebo e proposte. L’attivismo del PD inizia a farsi notare

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *