27 Luglio 2024

Il giornale di Cinisello Balsamo e Nord Milano

Carlo Villa, antifascista cinisellese ucciso dal regime nel 1934

Una via del centro cittadino e una Scuola Primaria sono a lui intitolate, la sua ultima abitazione è
ancora in via Vittorio Veneto e la sua tomba è nel cimitero di Cinisello, ma pochi sanno chi era Carlo
Villa, nato il 23 aprile 1901. Carlo, antifascista sin dalla prima ora, culturalmente curioso, era una persona generosa e sensibile e, nonostante le ristrettezze economiche, disponibile ad aiutare gli altri, anche a costo di rinunce personali. Meccanico alla Breda, successivamente fu assunto come magazziniere in un’altra azienda ma, essendosi rifiutato di fare la tessera del Partito Fascista, venne licenziato. Per mantenere la famiglia fu costretto a lavorare in proprio. Con l’amico Bellini girava in bicicletta per Cinisello per vendere biancheria.

Aveva 21 anni al tempo della marcia su Roma, quando Mussolini andò al potere. In seguito, con
l’entrata in vigore delle leggi fascistissime, l’istituzione del Tribunale Speciale, la reintroduzione della
pena di morte e le opposizioni poste fuori legge, gli spazi per l’attività politica contro il regime si erano ridotti ed era diventato sempre più rischioso agire alla luce del sole. Socio della coop. La Previdente, con altri antifascisti frequentava la bottega del ciabattino Ginett, Luigi Pacchetti, situata nella curt del popul (dove ora sorge la COOP). Dopo i primi arresti di Carlo Meani ed Egidio Pacchetti, ma in particolare con la cattura di quasi tutti i componenti del Gruppo del Carducci di Sesto S.G. e la fuga di Pietro Vergani (che fungeva da collegamento con altri gruppi), si decise di agire con la massima attenzione e discrezione. Fu necessario tenere riunioni più ristrette in cascinotti sparsi in campagna, dove si organizzava la distribuzione della stampa clandestina, la propaganda all’interno delle fabbriche, le azioni d’infiltrazione nelle organizzazioni fasciste per indebolirle dall’interno, gli aiuti al Soccorso Rosso per le famiglie dei militanti in carcere, al confino o in esilio. Carlo, che era amico dei fratelli Casiraghi di Sesto S.G., un giorno incontrò uno di loro che, simulando una compravendita, venne a Cinisello con un carretto di polli per avvisarlo che si sospettava che nel loro gruppo si nascondesse una spia. Lui però decise di non scappare. Nonostante le precauzioni, gli agenti dell’OVRA (polizia politica) giunsero ad arrestare venti persone, seguendo indizi emersi da documenti sequestrati a seguito della cattura del comunista milanese Ettore Borghi. Costui, fingendosi commerciante di vini e utilizzando documenti falsi, nel settembre del ‘34 fu inviato dal Centro estero del Partito Comunista per collaborare alla riorganizzazione della federazione giovanile comunista nell’area di Cinisello B., Cusano M., Niguarda, Bresso, Sesto S.G. e nella provincia di Novara.

Gli agenti ricostruirono parte della struttura organizzativa comunista della zona e il 15 settembre ‘34 iniziarono arrestando Carlo Tabini. Tra i tanti nomi inseriti nella sua agenda, spiccava quello del Ginett. Martedì 30 ottobre, in pieno giorno, una macchina nera dell’OVRA si fermò davanti all’abitazione di Carlo Villa. Gli agenti irruppero, perquisirono la casa e lo arrestarono. Venne condotto in Questura e poi a San Vittore, con Luigi Pacchetti e Giuseppe Trezzi. Il giorno seguente fu fermato Achille Rossetti, il 12 novembre fu la volta di Ambrogio Sironi e il 19 quella di Natale Sala.

Tutti subirono pesanti interrogatori per estorcere loro informazioni sulla rete clandestina. Carlo rimase prigioniero diciotto giorni, durante i quali fu sottoposto a torture di primo grado. Venne utilizzata una corda del diametro di cinque millimetri, messa come una corona sul cranio e ruotata con il manico di un martello per provocare una stretta sempre più forte. Qualcuno degli altri arrestati testimonierà in seguito di averlo visto pieno di tumefazioni, in particolare sulla testa. Questa circostanza sarà confermata da alcuni detenuti che lo sentirono invocare la moglie e lo videro insanguinato, in fin di vita, su una barella nei corridoi del carcere.

Morì il 17 novembre ‘34, a soli 33 anni. Soltanto quattro giorni dopo alla moglie Rosa fu comunicato che il marito si era suicidato. É probabile che gli agenti, nel tentativo di occultare il crimine, avessero inscenato la finzione del suicidio. Quando Rosa, recatasi in carcere, lo vide con un occhio pesto e una fascia in testa per nascondere le ferite, per la disperazione iniziò a urlare, ma i militi la minacciarono con un manganello, intimandole di tacere. Gli agenti sospettavano che a Cinisello si fosse diffusa la voce che la morte del Villa non fosse dovuta a suicidio; quindi, per timore di reazioni da parte della gente, fu negato il permesso di portare la salma al cimitero della sua città. La moglie protestò vivacemente e le guardie di nuovo la minacciarono. Il feretro venne quindi trasportato al cimitero di Musocco e il corteo funebre fu scortato dalle guardie. Alcuni amici sconsigliarono Rosa di mettere garofani rossi sulla bara, perché considerati un simbolo contro il regime; così, per evitare ripercussioni, al mazzo furono aggiunte delle viole. Gli altri antifascisti arrestati, sconvolti per la morte del loro compagno, ammisero le proprie responsabilità, descrivendo in parte la struttura dell’organizzazione clandestina che operava già dall’estate del ‘32. Deferiti tutti al Tribunale Speciale, con sentenza n. 34 del 20 maggio ‘35, furono rinviati a giudizio con la motivazione di partecipazione ad associazione comunista e per alcuni anche di propaganda sovversiva e condannati a diversi anni di carcere.

La moglie, rimasta sola con una bambina di 7 mesi, chiese al Servizio Sanitario del Comune “l’ammissione alla cura medica e somministrazione di medicinali gratuiti”, che si vedrà però rifiutare dal podestà. Negli anni successivi gli altri detenuti confermeranno a Rosa che Carlo non si era affatto suicidato. Solo a luglio del ‘60, a seguito di un’istanza da lei presentata nel ‘52, corredata dalle testimonianze di Pacchetti, Rossetti e Tabini, la Presidenza del Consiglio dei Ministri riconobbe ufficialmente che: “Il decesso è avvenuto nel carcere di San Vittore in Milano, Piazza Filangeri, mentre il Villa Carlo era detenuto per cause politiche e la morte avvenne a seguito di frattura del cranio, a seguito di percosse e sevizie sofferte”.

Concesse quindi alla vedova il diritto all’assegno vitalizio di benemerenza. Quando il corpo fu riesumato per traslarlo da Musocco a Cinisello, sul cranio erano ancora visibili i segni inequivocabili delle torture subite. Molti amici testimoniarono di averlo sentito dire che, in caso di arresto, pur di non fare i nomi dei compagni, si sarebbe fatto uccidere. E così accadde. Un cuore grande quello di Carlo Villa, esploso per il dolore, un cuore che aveva potuto accogliere gli ideali di libertà e solidarietà che gli avevano insegnato. Non vedrà la luce della nuova alba come gli altri suoi compagni che lotteranno nella Resistenza, ma fu anche merito del suo impegno, della sua forza, del suo coraggio se l’Italia fu liberata dal fascismo. Oggi, passando da via Carlo Villa e scorgendo la targa con la scritta “perseguitato antifascista”, si può cogliere quello che è racchiuso dietro a quel nome: un immenso amore per gli altri, per il suo Paese, per sua figlia che non vedrà crescere, per sua moglie che non vedrà invecchiare, ma soprattutto un immenso amore per la libertà, a costo della vita.

Nel ventennale della Resistenza l’Amministrazione comunale consegnò alla moglie un attestato di riconoscenza e una Medaglia d’Oro alla memoria. Negli anni ‘60 gli fu intitolata una Scuola Primaria in via Verga. Ma già subito dopo la Liberazione La Previdente aveva proposto al Comune di intitolargli una via, per ironia della sorte la stessa via (già via del Ronco) che durante il fascismo era stata intitolata ad Andrea Furia. Chi era Andrea Furia? Di sette anni più giovane di Villa, abitava nella sua stessa via. Si può ipotizzare che i due si conoscessero, ma è quasi certo che non si frequentassero. Furia era infatti un noto fascista locale. Nel ’35, un anno dopo la morte di Carlo, Furia partì volontario con le camicie nere per la guerra d’Etiopia, dove morì nel ‘36. Villa e Furia, due uomini, cresciuti nello stesso luogo, divisi dalla storia. Molte cose li accomunavano, ma una diversità sostanziale li contraddistingueva: Carlo Villa lottava per la libertà di tutti, Andrea Furia si era schierato con coloro che quella libertà avevano negato.

Patrizia Rulli

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