19 Marzo 2024

Il giornale di Cinisello Balsamo e Nord Milano

La storia locale dei cinisellesi. Gabriella Broggiato racconta l’incendio in una corte

Pochi elementi della natura riescono a suscitare sentimenti indimenticabili come il fuoco ed è per questo che la sua immagine guizzante percorre spesso i nostri ricordi. Il fuoco ci attrae perché risveglia tutti i nostri sensi con il suo calore intenso, i suoi bagliori vividi, la sua energia potente, ma nello stesso tempo ci spaventa per la sua forza devastatrice. Un fuoco acceso attira immediatamente attorno a sé tutti coloro che lo scorgono e non sanno resistere al suo richiamo, come ricordano con nostalgia tanti nostri concittadini (e come ci ha raccontato anche Angelo Borgonovo) descrivendo i falò che si accendevano nelle fredde sere di gennaio per sant’Antonio abate. Nello stesso tempo, quando sfugge al nostro controllo e distrugge tutto ciò che incontra, ci incute un timore primordiale e se lo scorgiamo in azione un brivido di paura ci pervade e il ricordo di quei momenti rimarrà impresso in modo indelebile. È di questo fuoco che ci racconta Gabriella Broggiato – che ringraziamo – nel descrivere l’incendio a cui ha assistito nella sua prima infanzia. Nello stesso tempo ci parla anche di qualcosa d’altro: ci parla di un cortile che si mobilita per far fronte al pericolo, con quel senso di solidarietà che animava allora la gente, uscita da pochi anni dagli orrori e dagli spaventi della guerra, nella convinzione che la salvezza di uno è la salvezza di tutti.

Ho abitato dal 1943, anno della mia nascita, fino al 1959 o 1960 nel cortile dei Tagliabue sulla piazza Gramsci al numero 25. Le mie finestre al primo piano si affacciavano sopra la farmacia (prima della farmacia c’erano un fruttivendolo e un parrucchiere), di fianco al balconcino con la statua della Madonnina sull’angolo con via Roma. Fu proprio in quell’appartamento con la Madonnina che si sviluppò un incendio. 

“Lella, svegliati, dobbiamo alzarci!” La mamma mi stava dolcemente chiamando, sollecitandomi, e io aprivo piano gli occhi, meravigliandomi che fosse ancora buio e di quell’insolita fretta che manifestava mentre mi vestiva e mi faceva indossare il cappotto. Era tutto così inconsueto: il mio stupore aumentava perché, pur non essendo ancora ben sveglia e avendo solo 5-6 anni, percepivo nella sua voce allarme e preoccupazione. Uscendo dalla camera, la cui porta si apriva sul ballatoio al primo piano del cortile di piazza Gramsci, subito vidi un’animazione sorprendente, con le persone che conoscevo e mi erano familiari che si agitavano nel cortile. La mamma mi accompagnò in un angolo dove erano raggruppati i miei compagni di giochi insieme ad alcuni nonni. Guardavano tutti nella stessa direzione e fu allora che scorsi il bagliore del fuoco dall’appartamento della signora E., confinante con la nostra camera, dal quale vedevo il rosseggiare delle fiamme e uscire del fumo. Noi bambini stavamo zitti, intimoriti da quell’evento che ci incuteva paura e nel contempo provavamo una grande emozione per quello che vedevamo.

La mia attenzione si rivolse allora a quello che stava succedendo nel cortile: le donne avevano riunito numerosi secchi che riempivano con l’acqua che sgorgava dai rubinetti del lavatoio, li portavano fuori e prendevano i secchi vuoti da riempire. Dall’ingresso del lavatoio partiva una catena di uomini e ragazzi grandi che si passavano i secchi dividendosi in due file: una fila, con i secchi pieni d’acqua da gettare sul fuoco, passava poi i secchi vuoti a quelli dell’altra fila perché li consegnassero alle donne per riempirli di nuovo.

Noi bambini, con i nostri nonni che ci stavano vicini, osservavamo i padri, le madri, i fratelli e gli zii che, concitati, attendevano a questa emergenza con fatica e con una grande volontà di arrivare a spegnere quel fuoco che, come anche noi bambini comprendevamo, stava mettendo in pericolo tutte le nostre case.

Ad un certo punto si vide il bagliore rossastro ingrigire e rimpicciolirsi fino a sparire, i gesti delle persone rallentare e le voci calmarsi: il fuoco, che con le sue scintille era uscito dal camino, si era acquietato e tornava ad essere il fuoco utile e prezioso per riscaldarci e per cucinare buoni cibi e dolci. Poco alla volta i genitori si rassicurarono l’un l’altro: il fuoco era davvero spento. Recuperarono bambini e nonni e tornarono alle loro case. Dovevamo riposare un po’ tutti e la notte, che si era riempita di ansie e paure, non era ancora finita.

Nei giorni seguenti avremmo avuto tante cose ed emozioni da raccontare e domande da fare fino a quando, con i nostri giochi, avremmo di nuovo riempito e fatto risuonare il cortile di risate, di grida, di canti, con le donne che cucivano, sferruzzavano, ricamavano, lavavano, stendevano, accudivano i bambini, cantavano o bisticciavano; con gli uomini che il sabato e la domenica facevano riparazioni in casa e alle biciclette o moto, o imbiancavano casa, spaccavano la legna e scherzavano, sempre indaffarati sotto gli occhi curiosi e attenti dei bambini e dei nonni.

Patrizia Rulli

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