27 Luglio 2024

Il giornale di Cinisello Balsamo e Nord Milano

Giuseppe Galbiati, cinisellese, deportato a Mauthausen nell’aprile del ’44

Inizia con Vittoria, figlia del deportato Giuseppe Galbiati, il racconto dei parenti dei deportati ai quali quest’anno verrà dedicata una Pietra d’Inciampo. Si tratta di uno stralcio a cura di ANPI Cinisello Balsamo di due interviste a Vittoria, raccolte da Giuseppe Valota e Patrizia Rulli.

Vittoria Galbiati aveva undici anni quando il padre fu arrestato. Nel suo racconto i ricordi appaiono nitidi, tante volte ha srotolato il filo della memoria e rievocato quei giorni. Era mezzanotte del 27 marzo 1944 quando due carabinieri avevano bussato alla loro porta in via Garibaldi 3, cercando il padre Giuseppe. “Mio marito non c’è, è al lavoro!” aveva risposto la moglie Carlotta, sperando di evitargli l’arresto. Forse immaginava cosa significasse quella visita notturna: qualche giorno prima, nella notte tra il 13 e il 14 marzo, erano stati prelevati di nascosto undici lavoratori di Cinisello Balsamo che avevano partecipato allo sciopero iniziato il primo marzo e proseguito per otto giorni. Ora toccava al marito, anche lui scioperante e appartenente a una cellula clandestina operante presso la Falck Unione di Sesto San Giovanni, dove lavorava come meccanico.

“Sappiamo che è in casa” aveva risposto uno dei carabinieri, che si era fatto indicare i turni di lavoro delle persone da arrestare. “Lo faccia uscire, o saremo costretti a portare via lei e la sua bambina”. Così anche Giuseppe Galbiati, che pure aveva preparato una via di fuga attraverso una botola che dal soffitto immetteva in solaio, si era consegnato: quell’uomo così schivo, tanto che baciava la figlia solo quando dormiva, non avrebbe mai permesso che questo avvenisse. Era stato tradotto in prigione insieme ad altri sei compagni. I fascisti e i tedeschi che affiancavano i carabinieri avevano preparato un’ambulanza per mascherare il vero scopo di quei trasferimenti notturni. Dopo l’arresto lo attendeva la solita trafila: Questura in piazza San Fedele, Carcere di San Vittore, Caserma di cavalleria Umberto I di Bergamo.

Dopo quella notte Vittoria lo aveva incontrato ancora una volta a Bergamo, dove la moglie con mezzi di fortuna si recava a trovarlo. Voleva rivedere la figlia, Giuseppe, e di quell’incontro Vittoria ricordava i grandi stanzoni, la paglia sul pavimento su cui si erano seduti nel corso del loro ultimo colloquio e le raccomandazioni affettuose del padre. Poi il 5 aprile c’era stata quell’affannosa corsa della moglie Carlotta alla stazione di Bergamo, piena di gente disperata che cercava i propri parenti, già stipati sui vagoni diretti a Mauthausen. Un ultimo saluto, un tentativo di rassicurazione: “Non preoccuparti, vado in Germania a lavorare!”

Non lo avrebbero più rivisto. In tutti gli interminabili mesi che erano seguiti, Carlotta e la figlia Vittoria avevano continuato ad aspettarlo, credendo alle sue parole. Così, in quel terribile Natale del 1944, erano certe che sarebbe finalmente giunto, tanto che avevano preparato un vero pranzo per festeggiare il suo ritorno: “Mi ricordo che la povera nonna aveva allevato un’anitra. L’avevo portata io a casa, viva, così, sottobraccio. Avevamo una stufa rotonda in casa; c’era su un padellino con due uova, uno per me e uno per la mamma e c’era l’anitra pronta da mangiare con il papà.” Ma Giuseppe non era arrivato e nessuno aveva voluto mangiare quell’anitra.

In quei giorni Giuseppe, che dal lager di Mauthausen era stato trasferito poco dopo nel vicino sottocampo di Gusen, era ormai allo stremo delle forze. La sua fine l’avrebbe raccontata mesi dopo alla moglie un compagno di prigionia. Una mattina, verso la fine di gennaio, Galbiati gli aveva raccomandato: “Se ti salvi porta alla mia Carlotta e alla mia Vittoria tutto il mio affetto: io non ce la faccio più”. Alla sera, di Giuseppe Galbiati non c’era più traccia: era stato caricato su uno dei carri che trasportavano moribondi e cadaveri verso la loro destinazione finale. Era il 30 gennaio 1945. Da pochi mesi aveva compiuto quarant’anni.

La vita era proseguita nel difficile dopoguerra, ma il ricordo di quel padre, che la baciava di nascosto e che, anche nel momento in cui si avviava a morire, aveva mandato un messaggio di affetto non l’aveva più lasciata e l’aveva spinta a ricercarlo nei pellegrinaggi a Mauthausen e nel tentare di farlo rivivere attraverso la sua testimonianza.
Per approfondire la storia di Giuseppe Galbiati:
https://www.comune.cinisello-balsamo.mi.it/pietre/spip.php?article279

Patrizia Rulli

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Un commento

  • Grazie per averci consentito di conoscere la storia di Giuseppe Galbiati.

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